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Zamagni: “In tempi straordinari come quelli di oggi riformare non basta, serve trasformare”

Una lezione molto profonda e altrettanto chiara, quella tenuta dal prof. Stefano Zamagni in Santa Maria di Campagna – su invito della Banca di Piacenza – per spiegare il significato del progetto “L’economia di Francesco”, sul quale dal 28 al 30 marzo 2020 discuteranno economisti e imprenditori under 35 provenienti da tutto il mondo.

«E’ un grande onore avere in questa Basilica francescana il prof. Zamagni – ha detto il presidente esecutivo della Banca Corrado Sforza Fogliani presentando l’illustre ospite -, uno dei primi collaboratori del Papa e presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, interprete primo degli studi sul bene comune nell’ambito della dottrina sociale della Chiesa e tra gli artefici di Assisi 2020. Mi piace anche ricordare – ha continuato il presidente Sforza – la difesa limpida e lungimirante fatta dal professore delle banche di territorio. Nella prefazione ad un libro sulle banche popolari fu profetico nel paventare che cosa sarebbe successo dopo la crisi delle quattro banche: la finanza internazionale avrebbe mosso i primi passi per mettere le mani sul sistema bancario italiano».

Il prof. Zamagni ha definito l’incontro di Assisi «straordinario»: per la prima volta 500 giovani economisti e imprenditori di tutte le nazionalità s’incontreranno per discutere, in laboratori tematici e momenti plenari, quale sia il modello di economia di mercato che si vuole realizzare nel prossimo futuro. Perché ad Assisi? Per spiegare le ragioni della scelta, il docente dell’Università di Bologna ha compiuto un salto indietro nel tempo. «In questo anno che sta per chiudersi – ha argomentato – ricorrono i 900 anni dalla pubblicazione della Carta Caritatis, il documento fondativo dell’Ordine cistercense. Ben prima Benedetto da Norcia lanciò l’ora et labora, risolvendo i problemi nati dalla caduta dell’Impero Romano e dando vita al monachesimo. Sul finire del millennio nacque l’Ordine benedettino, con due famiglie: i cluniacensi, che interpretarono in modo particolare il motto di Benedetto da Norcia, facendolo diventare ora et non labora. Nei loro monasteri i monaci pregavano ma facevano lavorare gli altri. Ad alcuni la cosa non piacque e si staccarono formando, con Bernardo da Chiaravalle, i cistercensi, che diventarono il punto di riferimento dell’XI secolo. Furono loro che rivoluzionarono l’agricoltura inventando la rotazione agraria delle colture. I monasteri cistercensi erano laboratori artigianali, luoghi di produzione dove si accumulava ricchezza. Ciononostante larghi strati della popolazione viveva in miseria. Bernardo da Chiaravalle morì con il cruccio di non aver risolto il problema della redistribuzione della ricchezza senza fare assistenzialismo, perché sosteneva che con l’elemosina il povero resta povero. Un rammarico recepito da Francesco d’Assisi (ecco la scelta della location del meeting, ndr), che prima della conversione era un ricco mercante. La mentalità imprenditoriale gli rimase. Francesco diceva ai suoi seguaci di risolvere il problema lasciato dai cistercensi, ma non con l’assistenzialismo. Nel 1400, dopo la morte di Francesco, nacque – anche se non lo si vuole ammettere – l’economia di mercato, lo strumento per far circolare la ricchezza. I primi banchieri furono francescani: nel 1462 il primo Monte di pietà fu aperto a Perugia, poi a Siena e Bologna. E’ così che i seguaci di Francesco crearono un’istituzione finanziaria che toglieva l’erba sotto ai piedi degli usurai e introduceva il concetto di reciprocità: ti aiuto perché hai bisogno, ma ti chiedo il tasso d’interesse perché in questo modo posso aiutare anche altre persone in difficoltà. Ecco il punto – ha proseguito il professore -; l’economia di mercato diventa economia civile di mercato: serve a produrre ricchezza, ma il denaro deve circolare per avere una redistribuzione della ricchezza stessa senza assistenzialismo, che non vuol dire né egualitarismo, né disuguaglianza. Agli inizi del ‘600 le cose cambiarono: l’economia civile di mercato diventò economia capitalistica e oggi ci troviamo in una situazione analoga».

Da 50 anni a questa parte, infatti, la ricchezza è aumentata enormemente, al pari con le disuguaglianze («la globalizzazione è valsa ad aumentare la ricchezza ma non è stata capace di determinare un criterio di redistribuzione tra i Paesi e tra i gruppi sociali»). Ecco perché il Papa ha lanciato la sfida di Assisi 2020: «Ha voluto collegare – ha spiegato il prof. Zamagni – le vicende odierne con quelle di 6-7 secoli fa». Tre i punti qualificanti della sfida. Il primo: come stimolare i giovani a non separare la produzione con la distribuzione della ricchezza («Qui gli economisti hanno una gravissima responsabilità, quella di aver lasciato pilatescamente alla politica il problema redistributivo, occupandosi solo di quello produttivo»). Il secondo: come smettere di pensare al problema economico slegato dal problema ecologico («E qui devo registrare ancora l’irresponsabilità degli economisti, che non hanno dato attenzione al degrado ambientale»). Il terzo: come trovare un  modello di organizzazione sociale adeguato ai nostri tempi («L’obiettivo è quello di puntare allo sviluppo e non solo alla crescita. Chi sostiene che sviluppo e crescita sono la stessa cosa bestemmia: il concetto di crescita appartiene anche a piante e animali, lo sviluppo è tipico dell’uomo. Nel latino la s davanti a una parola significa negazione; quindi s-viluppo vuol dire togliere i viluppi, cioè i lacci a tutto ciò che minaccia la nostra libertà. Lo sviluppo ha tre dimensioni: la crescita, che ne è parte; un aspetto socio-relazionale e una dimensione spirituale, che non vuol dire solo religiosa. Questo è lo sviluppo umano integrale, che tiene bilanciate le tre dimensioni: d’accordo puntare all’aumento del Pil, ma non a detrimento delle altre due dimensioni. Se per far crescere il Prodotto interno lordo distruggo la famiglia, non va bene; se per ottenere lo stesso scopo inquino, poi la natura si ribella e capita quello che stiamo vedendo oggi»).

Le tre sfide saranno affrontate ad Assisi in 12 laboratori di studio a cui prenderanno parte, come detto, 500 economisti e imprenditori scelti tra le 12mila domande che sono pervenute («c’è un risveglio tra i giovani, non tutto è perduto»).

Quando un modello di ordine sociale va in crisi – ha osservato il prof. Zamagni – tre sono i modi per uscirne: con le rivoluzioni, «non invocate da nessuno»; con la strategia riformista, «che in tempi straordinari come i nostri mette pezze ma non risolve; ad esempio, inutile riformare il fisco spostando una tassa da una parte ad un’altra»; con la trasformazione, il cambiamento: «Per restare sullo stesso esempio, il sistema fiscale va cambiato trasformando l’impianto filosofico che sta alla base».

Il presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali ha concluso il suo intervento, molto applaudito dai numerosi intervenuti, prevedendo che l’evento di Assisi «provocherà uno scossone» in una larga fetta di opinione pubblica che «si sta rendendo conto che le tre separazioni che abbiamo visto nei tre punti qualificanti della sfida sono all’origine dei nostri mali». E la sfida potrà essere vinta «se recuperiamo il concetto di responsabilità, nell’accezione di caricarsi sulle spalle il peso delle cose (rispondo per il bene che non faccio), che tradotto vuol dire: finiamola di fare gli ipocriti e i Ponzio Pilato».

Da maledetto ottimista, quale si è definito, il prof. Zamagni (che ha ricevuto in dono dalla Banca la targa dell’ospitalità piacentina) si è congedato con questa massima del filosofo e poeta bengalese Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura nel 1913: “Quando il sole tramonta, non piangere perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle”. «E, nonostante tutto, di stelle ce ne sono ancora tante».

Stefano Zamagni, prima di lasciare Piacenza, accompagnato dal presidente dell’Opera Pia Alberoni Giorgio Braghieri (presente alla conferenza), ha fatto visita all’Ecce Homo di Antonello da Messina.

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