A urne chiuse e mente fredda si possono fare alcune considerazioni su questa tornata elettorale e sul prossimo ballottaggio.
Massimo Trespidi ha ottenuto un grandissimo risultato che non serve a niente. Fra le file di chi ha perso c’è invece Andrea Pugni, che prende percentualmente meno della sua lista. Forse colto dal mal di Napoleone ha voluto essere lui candidato a tutti i costi. Sono in molti a pensare che Rosarita Mannina avrebbe portato un risultato davvero differente. Ne discende un chiaro monito al 5 Stelle: attenzione alle scelte che il Movimento farà per le politiche, perché il popolo pentastellato potrebbe assentarsi nel momento cruciale (come accaduto nella vicina Parma…).
Fra i perdenti si può contare anche Sandra Ponzini, per lo stesso motivo, ma coi dovuti distinguo. Lei non era in prima linea: c’è stata catapultata da una virata ad U di un candidato infinitamente più navigato, che all’ultimo momento – resosi conto di non avere concrete chance – ha trovato una scusa elegante per sfilarsi. Forse più della Ponzini hanno perso i padri fondatori autoctoni di Articolo 1. Come inizio non c’è male…
Più lusinghiero il risultato di Luigi Rabuffi, che tira più della sua coalizione e nella quota dei voti al solo sindaco se ne aggiudica il 7%, cioè di più della sua lista, a conferma che è lui, nel binomio, ad essere più attrattivo.
Stefano Torre … che dire, è un personaggio istrionico e complesso. Sopra il 3%, fuori dal consiglio per la ridistribuzione proporzionale dei voti di lista, che lo vede perdente rispetto alla Ponzini. Non è un fenomeno dell’antipolitica. Sarebbe comodo derubricarlo così. È rappresentativo di un elettorato che non sarebbe andato probabilmente a votare, magari anche i delusi del conflitto Pugni/Mannina, che hanno visto tradire la parte “nobile” delle aspettative del 5Stelle. Vedremo cosa succederà, come andrà avanti in questa sua battaglia. Adesso lo aspetta la fase più complessa: quella in cui rischia di sbagliare, qualunque scelta faccia. Andando avanti può restare l’istrione del consiglio comunale fuori dal consiglio comunale: alla fine rischia di perdere il suo charme ed annoiare continuando imperituro a combattere in strada per un vulcano!
Oppure può provare a trasformare l’anti-proposta in una proposta: questo è il passaggio più complesso, quello che l’antipolitica ha sempre perso alla resa dei conti. Tutti contro è facile, tutti pro invece assai più difficile. Naturalmente questo potrebbe essere un gioco fatto prevalentemente fuori dalle porte del consiglio, perché dentro non riuscirebbe ad incidere particolarmente.
Paolo Rizzi pesa poco meno della somma delle liste, che sono per circa due terzi di matrice politica del PD. Il sillogismo PD al 18,5 % è poco convincente. Più plausibile vederlo, proiettato su base nazionale, intorno ad un 22-23% circa.
Rizzi dunque non ha perso e non ha vinto. Il centrosinistra di matrice PD a Piacenza paga un ultimo quinquennio abbastanza scialbo, una presenza schiacciante di Reggi negli ultimi 15 anni ed ancora oggi vivissima (e paga quindi l’antirenzismo e l’antireggismo) ed una distribuzione di ruoli politici a persone il cui valore in termini di capacità o competenze non è riconosciuto e non incontra quindi il favore degli elettori potenziali.
Patrizia Barbieri è il “candidato pesante”. Porta più voti della sua coalizione sia in senso assoluto (questo lo hanno fatto tutti i candidati) sia percentualmente (si è “accaparrata” il 36% dei 3.751 voti dati ai soli sindaci). È evidentemente più credibile al centrodestra di quanto non lo sia Rizzi al centrosinistra.
Il messaggio che porta questo risultato è sfaccettato. Il centrodestra è più unito del centrosinistra: un solo dissidente, gli altri compatti attorno alla candidata ufficiale. È a sinistra una sorta di individualismo del collettivo per cui, in sostanza, coloro che dicono di ragionare per la collettività sono più frastagliati e dispersi degli individualisti.…
Il centrosinistra sommato, sostanzialmente più debole del centrodestra sommato, non ha speranze di raccogliere tra i suoi minori le forze per equiparare la Barbieri e – per vincere al secondo turno.
Per riuscirci dovrebbe sperare in un accordo o alla luce del sole col 5Stelle (difficilissimo da spiegare in termini programmatici) o sottobanco con Trespidi. Se succedesse Trespidi verrebbe radiato per sempre nei secoli venturi dalle alleanze possibili a destra, mentre ad oggi ha dimostrato di avere un suo peso e non marginale. Potrebbe funzionare solo con una matrice d’odio nel centrodestra paragonabile a quella nel centrosinistra.
La campagna di Rizzi è stata più coraggiosa: più controcorrente, più strategica, veramente più volta al futuro. Ha dato a quelli che tifavano per lui l’impressione di un candidato “politico”, pacato, ma ad alto rischio “veltroniano” (dobbiamo, crediamo, speriamo, fate), con questa giacca sulle spalle che evidenzia bene il passo un po’ sulle nuvole tipico del mondo universitario più ispirato. E, “honi soit qui mal y pense”, ai diffidenti invece è sembrato il nuovo burattino nelle mani del burattinaio.
La campagna della Barbieri è stata facilitata da questo quinquennio senza arte né parte. Un sindaco (Dosi) inesistente, voluto fortemente da Reggi che ha continuato a dettare l’agenda anche da Roma. Diciamo che in qualche modo il successo della Barbieri è frutto dei passati successi di Reggi e non è detto che lei a sua volta non possa costituire il nuovo trampolino per l’ex sindaco e direttore del Demanio, che potrebbe uscirne vincente, nonostante tutto, vedendosi riconosciute le sue ambizioni da parlamentare.
A guadare le proiezioni dei consiglieri eletti in consiglio nel caso di vittoria dell’una o dell’altra coalizione, viene quasi da pensare che il male minore sia la vittoria di Rizzi che però, numericamente, è la meno probabile. Potrebbe farcela se “autonomamente” (con qualche aiutino, come si suol dire, a destra e manca…) riuscisse a convincere gli elettori di Trespidi a dare fiducia a lui.
All’orizzonte resta poi l’incognita astensionismo che in un caldo 25 giugno rischia di farla da padrona. Sarebbe un peccato che a decretare il destino di questa città fosse il termometro. Questo significa una sola cosa: chi da più tempo fa politica a Piacenza (da una parte e dall’altra) apra la sua rubrica e cerchi tanto tanto, sommessamente, i numeri di telefono di quel 13% da convincere sottovoce che, in fondo, piutost che gnint l’è mei piutost.
Benedetta Corso