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Africa di chi l’ha vissuta, testimonianze al Laboratorio Mondialità Consapevole

A volte pensiamo che l’Africa sia un continente lontano da noi, che quello che vi accade non riguarda più di tanto le nostre vite, affacendati come siamo con le nostre problematiche quotidiane. Questo porta talvolta a una visione distorta di quel mondo. Dopo l’appuntamento con Raffaele Masto del 19 aprile in cui si è parlato dell’Africa che sta cambiando, ieri al Centro Samaritano si è svolto il consueto appuntamento con le testimonianze di persone che hanno vissuto sulla loro pelle il Continente. Presenti Federica Lugani, che ha fatto servizio civile in Zambia con la Comunità Papa Giovanni XXIII col progetto Cicetekelo Youth Project e Paolo Strona, volontario ad Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo e per tanti anni in Uganda dove la Ong piacentina ha sede.

Via Skype hanno portato la loro testimonianza Gaia Paradiso, Public Information Officer presso l’UNESCO e Giulia Bosi, che vive in Tanzania.

Gaia ha raccontato le attività che promuove l’UNESCO, soprattutto “creare politiche educative in armonia coi Paesi che ne fanno parte”, alcune riflessioni sul cambiamento attraverso i mezzi di comunicazione di massa, “La vera rivoluzione passa dalla connessione internet, in questo modo chiunque in Africa può mandare messaggi positivi, di speranza nel mondo. Dall’altro lato si perde quello che è il vivere quotidiano, la capacità di interagire con gli altri”. “Deve cambiare la narrativa dell’Africa, non alimentata da sensazionalismi ad esempio sui giornali, deve esserci una narrativa positiva”. Ha inoltre raccontato l’organizzazione della “Pan-African High-Level Conference on Education” in cui sono stati invitati 55 ministri dell’educazione africani. “Mi ha colpito l’intervento del ministro sudsudanese, il quale si è soffermato sull’importanza di migliorare la situazione presente in Sud Sudan, invece di lasciare che i sudsudanesi facciano un’esperienza in giro per il mondo perchè non ci sono altre possibilità”.

Federica ha fatto già 3 viaggi in Zambia, di cui uno annuale come Casco Bianco. “In Zambia tutto appare abbastanza incerto (il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, anche a causa di malattie come l’HIV/AIDS l’aspettativa di vita si colloca attorno ai 57 anni) e tentare di programmare un futuro spesso non ha alcun senso vista la precarietà delle condizioni di vita”.

“Gli adulti stessi sono i primi a rappresentare una categoria persa – continua -, rimasta nei bar di qualche compound a stordirsi di birra e musica altissima dalla mattina alla sera. Sono bar in cui la musica, compagna inseparabile della cultura zambiana, perde il suo solito sapore di festa, si snatura e diventa semplicemente una bolla di evasione per dimenticare lo schifo in cui si è immersi quotidianamente, un non-luogo in cui perdersi e talvolta consumare rapporti occasionali creando ulteriore sofferenza. Tuttavia, è in questo stesso mondo, che i miracoli quotidiani possono accadere”. 

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