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I discorsi ufficiali nel giorno del Ricordo

Gli interventi del prefetto, del sindaco Tarasconi e della presidente della provincia Patelli

Pubblichiamo qui di seguito i discorsi ufficiali pronunciati oggi in occasione del Giorno del Ricordo. Alla cerimonia ha preso parte anche il ministro Tommaso Foti.

Intervento del prefetto di Piacenza Paolo Ponta

Rivolgo un cordiale saluto alla Signora Sindaca della Città di Piacenza, alla Signora Presidente della Provincia, alle Autorità Civili, Religiose e Militari, ai rappresentanti delle Scuole e della Consulta degli Studenti, ai Consigli Comunali dei ragazzi, alle Associazioni combattentistiche, d’Arma e di Categoria, alle Associazioni di Volontariato, a tutte le Cittadine e a tutti i Cittadini intervenuti.
Pur in una ricorrenza dolorosa, desidero iniziare il mio intervento con una sottolineatura positiva, alla quale lo scorso anno ho solo accennato. Proprio l’altro ieri, 8 febbraio, le Città gemelle di Gorizia in Italia e Nova Gorica in Slovenia sono divenute Capitale Europea della Cultura “senza confini”, “borderless”, come recita il motto dell’evento. A tale proposito, sono ancora vive nella nostra memoria le immagini del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dell’allora Presidente Sloveno Borut Pahor che, mano nella mano, il 17 luglio 2020 rendevano omaggio alla Foiba di Basovizza – l’oltraggio di questi giorni non modifica nulla – e al Monumento ai Caduti Sloveni. A margine di quello storico avvenimento, in occasione della restituzione alla minoranza slovena in Italia del “Narodni Dom” (Casa del Popolo) di Trieste, incendiato dai fascisti nel 1920, il nostro Capo dello Stato così si espresse: “la storia non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano”.
E in effetti, la riappacificazione e la memoria condivisa, dovute anche all’inclusione di Croazia e Slovenia nell’Unione Europea, non possono far dimenticare né gli eccessi nazionalisti del regime nei confronti delle popolazioni di lingua e cultura slava, né, tantomeno, le immani sofferenze patite dalle popolazioni italiane negli ultimi anni della seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo, fino al Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, con il quale venivano fissati gli attuali confini orientali del nostro Paese.
Mentre il resto d’Italia veniva progressivamente liberato dall’oppressione nazifascista, in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, le milizie comuniste jugoslave di Tito ponevano in essere una vera e propria persecuzione nei confronti non solo di militari, funzionari statali e appartenenti al Partito fascista, ma anche di persone inermi, di vario orientamento politico o del tutto neutrali, compresi anziani, giovani e donne. Valga per tutti un nome, quello di Norma Cossetto, torturata e violentata prima di essere gettata in una foiba nel 1943, insignita dal Presidente Ciampi della Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria nel 2005.
Migliaia di italiani infoibati, spesso ancora vivi, centinaia di migliaia costretti all’esilio, profughi in Patria, ammassati in centri di raccolta e spesso accolti con diffidenza e ostilità, anziché con un doveroso abbraccio, dai propri connazionali.
Cerchiamo allora di rimediare, sia pur tardivamente, a quella mancanza, abbracciando idealmente, in questa giornata, i profughi ancora viventi, i loro figli, i loro familiari. Non siete più soli, non sarete mai più soli.
In un’Europa purtroppo sfregiata dalla ricomparsa di un nazionalismo e di un imperialismo che, forse ingenuamente, ritenevamo consegnati alla Storia, le vicende del nostro confine orientale ci insegnano che soltanto rispettando la dignità di ogni persona in quanto tale, a prescindere dalle origini, dalle opinioni e dalla lingua, potremo conseguire una Pace autentica, fondata sulla Giustizia, e non solo sull’ apparente assenza delle ostilità.

Il discorso della sindaca Katia Tarasconi
Sono trascorsi più di vent’anni, da quando il Parlamento italiano ha istituito per legge il Giorno del Ricordo, restituendo la doverosa dignità e la dimensione collettiva della memoria a una tragedia che ha profondamente segnato la storia del nostro Paese, ma troppo a lungo è stata offuscata, soggetta a un processo di rimozione politica che ne ha impedito il pieno e legittimo riconoscimento. Onorare questa ricorrenza come stiamo facendo oggi, nell’area verde intitolata ai Martiri delle foibe, significa allora rinnovare il senso di commossa partecipazione al dramma della popolazione istriana e giuliano-dalmata, restituendo giustizia e ripercorrendo le orme dei nostri connazionali che nel secondo Dopoguerra hanno dovuto lasciare la loro terra d’origine per vivere, come profughi, nella propria Patria.

Nelle donne e negli uomini che subirono, sino alle estreme conseguenze, la brutalità impietosa delle milizie partigiane di Tito, nelle famiglie che persero per sempre i propri cari nella profondità delle fenditure carsiche, nei militari e civili che pagarono con la vita le proprie radici italiane – tra loro anche esponenti delle Forze dell’ordine e dell’Arma, sacerdoti, antifascisti e membri del Cln – identifichiamo le vittime di una disumanità che, come ha ammonito in più occasioni il presidente Mattarella, è “il frutto della discriminazione e della vendetta, a qualunque titolo esercitati”.

Conoscere il passato ci permette di trarne una lezione universale: l’odio e la violenza generano solo altro odio, altra violenza che mai, agli occhi e nella coscienza di uno Stato civile e democratico, possono trovare giustificazione. Per questo avvertiamo più forte che mai, in una Giornata come quella odierna che richiama in modo così netto le nefandezze e l’orrore del totalitarismo, la responsabilità condivisa e l’urgenza di costruire una cultura di pace, trasmettendo alle giovani generazioni la consapevolezza che non esiste valore più grande.

Ciò che avvenne, dopo l’8 settembre 1943, in quel lembo orientale al confine con i Balcani, non si può dimenticare: le esecuzioni sommarie, gli arresti e le torture, gli stupri, le testimonianze atroci dei sopravvissuti che raccontano l’indicibile dei corpi ammassati, le ombre delle persone costrette a camminare in fila, legate le une alle altre, verso la voragine. Tacere, o restare indifferenti, ci rende sempre e comunque colpevoli.

Ma gran parte del Paese scelse di voltarsi dall’altra parte anche dopo il Trattato di Parigi, mentre più di 300 mila italiani fuggivano le persecuzioni e l’ostilità del regime jugoslavo per cercare rifugio nei campi allestiti lungo la spina dorsale della Penisola. Lo spiega bene uno scrittore, Diego Zandel, venuto al mondo “oltre il reticolato di Servigliano”, nelle Marche, dove i suoi genitori erano approdati abbandonando Fiume: “Ci divideva dal paese un muro alto; ci sentivano diversi, ci sentivamo diversi. E così quando passammo ai padiglioni del Villaggio Giuliano-Dalmata della Capitale. I romani non capivano bene chi erano quelle duemila persone sistemate nei dormitori, che parlavano quello strano dialetto. E noi sentivamo di essere altri da loro. Ancora la frontiera, di cui sono figlio. La frontiera che continuo a portarmi dentro”.

Se oggi ci ritroviamo qui è per abbattere quella stessa frontiera, che per sessant’anni ci ha impedito di prendere atto del male compiuto e del senso di abbandono con cui tanti, troppi italiani hanno dovuto fare i conti lungo un cammino segnato da un dolore che è anche nostro, che ci appartiene perché riguarda la nostra stessa identità di popolo, ma ancor prima – e lo riaffermiamo in questa circostanza con sincera adesione – ha a che fare con il nostro essere umani.

Saluto presidente Monica Patelli
Buongiorno alle Autorità e a tutti i presenti, la cerimonia che ci riunisce qui oggi ci consente di rendere un partecipe omaggio alle migliaia di vittime di feroci brutalità e alle centinaia di migliaia di profughi di una vicenda cupa e drammatica della storia europea.
Il Giorno del Ricordo – istituito dal Parlamento nel 2004 – ci aiuta a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Il nostro commosso pensiero va quindi a ogni persona torturata, fucilata o gettata viva nelle profondità delle foibe, e a chi fu deportato o costretto all’esodo dalla propria terra, come avvenne nel caso di oltre trecentomila nostri connazionali.
Queste tremende violenze, benché accertate e documentate, sono state a lungo tempo sottovalutate o addirittura negate: “Una pagina strappata nel libro della nostra storia” – come la definì il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – che occorre rileggere, con coraggio e con maturità, per accrescere e rafforzare la nostra consapevolezza sulle scelte da fare oggi e per il futuro.
Il Giorno del Ricordo costituisce infatti un’occasione importante anche per ampliare lo sguardo in relazione a ciò che possiamo imparare dalle tragiche lezioni del passato.
Gli eventi della Seconda guerra mondiale ci rammentano che le radici delle ingiuste sofferenze dei popoli si trovano negli egoismi, nell’odio ideologico e nell’odio etnico, nei regimi e nei totalitarismi di ogni tipo.
Tutto ciò deve costituire un monito per ciascuno di noi, come Istituzioni e come singoli cittadini: ne sono una fin troppo evidente conferma le vite spezzate, le famiglie distrutte e i sogni infranti da sopraffazioni, torture e sanguinosi conflitti dei nostri giorni.
L’emozione e la solennità di questo momento condiviso nel Giardino dedicato ai Martiri delle Foibe ci spronano a tenere sempre alta la guardia contro le degenerazioni ideologiche e le ambizioni di dominio sugli altri: è un impegno che trova senso nei princìpi della nostra Costituzione, che sono le luci da trasmettere alle nuove generazioni.
Anche se il contesto di oggi può a volte sembrare scoraggiante, alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi abbiamo il dovere di insegnare i valori dell’ascolto, del dialogo e del reciproco rispetto, nella convinzione che «La speranza vede l’invisibile, sente l’intangibile e realizza l’impossibile».

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