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    Il gran pasticcio, tutto italiano, delle mascherine

    Quello delle mascherine protettive sembra essere davvero uno dei più grossi pasticci di questa emergenza Coronavirus, gestito in maniera approssimativa, burocratica e farraginosa a tutti i livelli. Per lungo tempo gli operatori sanitari non hanno avuto sufficienti mascherine e spesso quelle ricevute non erano idonee. Ora ci viene detto da più parti che la situazione si è normalizzata ma le cose sembrano essere un po’ differenti dai racconti e tra l’altro per i privati, in negozi e farmacie, restano merce rara e disponibile a singhiozzo.

    Abbiamo già scritto in passato di come sia complicato riuscire ad avere, da parte dell’Inail (come anche dall’Istituto Superiore di Sanità) l’ l’omologazione per poter commercializzare come Dpi le maschere protettive. La conseguenza è che molti fabbricano o importano maschere che sarebbero all’origine FFp1, Ffp2 o Ffp3 ma le vendono come semplici mascherine filtranti e quindi adatte solo ad uso privato e non a quello in aziende dove sia prescritto uno specifico Dpi. Una volta ottenuto il via libera (magari avendo speso soldi per fare i test in un laboratorio)  si corre il rischio (come spieghiamo sotto) di vedersi requisire la merce. Questo nonostante ormai reperire decine di migliaia di mascherine sul mercato cinese sia relativamente semplice per chiunque. Se però si procede ancora a sequestri massivi  evidentemente la Protezione Civile e gli uomini del commissario Arcuri devono avere ancora qualche problema di approvigionamento.

    Proprio in mattinata i consiglieri regionali emiliano romagnoli della Lega hanno depositato un’interrogazione per sapere come mai la Protezione Civile abbia distribuito all’Ordine dei Medici mascherine che sembrerebbero non essere idonee ad uso professionale.

    Sempre in mattinata l’ufficio stampa della Regione Emilia Romagna  ha inviato un comunicato stampa in cui si enfatizzano due operazioni messe a segno congiuntamente da Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e dalla Guardia di Finanza.

    La prima riguardava l’esportazione bloccata di «13 mila dispositivi medici monouso per la ventilazione respiratoria, intercettati all’interporto di Bentivoglio, di fabbricazione italiana, illegalmente destinati alla Repubblica Sudafricana».

    Se si tratta di apparati utili per i nostri ospedali e la cui esportazione è vietata (non abbiamo elementi per saperlo) bene hanno fatto a deciderne il sequestro.

    La seconda requisizione è avvenuta invece all’aeroporto Guglielmo Marconi e riguarda «50mila mascherine chirurgiche importate dalla Cina e destinate a rivenditori privati».

    Duro e secco il commento dell’Assessore regionale alle Politiche per la Salute, Raffaele Donini: «Diciamo ancora una volta grazie per questo intervento straordinario, che ha permesso di restituire alla nostra comunità materiale prezioso. È veramente ignobile che ci sia chi continua, per bramosia di guadagno e in un momento drammatico per il nostro Paese e per il mondo, a speculare sulla salute e la vita delle persone. Ognuno per la propria parte e secondo la propria responsabilità sta facendo il massimo sforzo e mettendo il massimo impegno per affrontare questa emergenza, perché solo insieme riusciremo ad uscirne. Ma evidentemente c’è chi questo senso di comunità e solidarietà non solo non lo conosce e non lo rispetta, ma lo disprezza. L’augurio è che – conclude Donini – operazioni come questa non debbano mai più rendersi necessarie, da parte nostra continueremo a fornire la massima collaborazione come abbiamo fatto sinora».

    L’assessore dunque ha puntato il dito con veemenza contro presunti speculatori “spinti dalla bramosia di denaro”.

    Ma è davvero così? Se un imprenditore ha i canali giusti e può importare mascherine regolarmente e con l’omologa da parte dell’Inail per poi rivenderle a farmacie, supermercati a prezzi equi, mettendole a diposizione degli abitanti e dei lavoratori è qualcuno che sta commettendo un atto ignobile? Un conto è lucrare su una disgrazia, un altro è importare e rivendere, al giusto prezzo, un bene difficile da reperire al dettaglio ed utile a tutti. Perchè (a quanto sappiamo) né la Protezione Civile né nessun altro sta distribuendo mascherine a quegli italiani che quando vanno a fare la spesa il rischio di contagiare e contagiarsi lo corrono comunque.

    Verrebbe invece da chiedersi, per la seconda volta, come mai se tanti aziende riescono ad importare grandi quantità di mascherine dalla Cina, la struttura acquisti della Protezione Civile non sia in grado di farlo (a sufficienza) e debba ancora oggi procedere alla requisizione di beni destinati alla popolazione.

    Peraltro una mascherina FFP2 può costare, all’ingrosso, fra 3 ed i 4 euro. Quindi l’azienda a cui sono state sequestrate oggi, a Bologna, 50 mila mascherine si trova esposta per 150/200 mila euro. Verrà pagata dallo Stato chissà quando e chissà con che importo finale.

    A consentire questi requisizioni è l’articolo 6 del decreto Cura Italia a cui ha fatto seguito un’ordinanza del commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, la N.1 del 20 marzo 2020 che nomina l’Agenzia delle Dogane come soggetto attuatore al fine di procedere alle requisizioni dei beni mobili per esigenze sanitarie. La Protezione Civile può disporre la requisizione da soggetti pubblici o privati di presidi sanitari e medico-chirurgici e di beni mobili necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria, per assicurare la fornitura delle strutture e degli equipaggiamenti alle aziende sanitarie o ospedaliere presenti sul territorio nazionale.

    Una misura la cui attuazione poteva avere senso la prima settimana di emergenza ma che, con il trascorrere del tempo, suona (per il tema mascherine) sempre più stonata. Fra ordine, produzione e consegna (via aereo) ci vogliono mediamente 15 giorni che si riducono con gli stock pronti consegna disponibili. Come mai questo lasso di tempo non è stato sufficiente alla Protezione Civile per agire autonomamente? Come mai si devono ancora requisire le mascherine delle ditte private? Come mai a Bologna vengono requisite ed in altri aeroporti o dogane invece vengono lasciate passare?

    Il tutto peraltro condito da episodi tragicomici come quello avvenuto a Malpensa lo scorso 21 marzo quando  l’Agenzia delle Dogane  ha requisito 900.000 mascherine. Peccato che destinatario delle stesse fosse Aria SpA cioè la centrale acquisti di Regione Lombardia che si era attivata in prima persona proprio per supplire ai ritardi della Protezione Civile nel fornire le mascherine.

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