Qual è il filo conduttore della poetica di Dante? «L’amore, anche quando la cosa non è evidente, ma nel significato che Dio ha testimoniato con la sua bontà, la sua misericordia, il suo perdono. Si tratta quindi dell’amore di Dio, un concetto difficile da interiorizzare a livello di umana concezione, ma è “il” concetto che rende veramente salvo l’uomo, consentendone la piena realizzazione già in vita». Roberto Laurenzano, presidente della Società “Dante Alighieri”, è stato il protagonista della conferenza (tema, appunto, “L’amore nella poetica di Dante, con particolare riferimento al XXXIII Canto del Paradiso”) che si è tenuta nella Sala del Duca, in Campagna, nell’ambito delle Celebrazioni dei 500 anni di Santa Maria di Campagna a cura della Comunità francescana e della Banca di Piacenza. Appuntamento che ha chiuso il cerchio dei momenti della scorsa settimana dedicati al Sommo Poeta, con la lettura teatrale dei principali Canti della Divina Commedia da parte del regista e attore Massimiliano Finazzer Flory e con la lectio finale del filosofo Massimo Cacciari.
Il relatore – introdotto dal condirettore generale Pietro Coppelli, che al termine gli ha consegnato la medaglia della Banca in ricordo della serata – ha spiegato come Dante viva una crisi di coscienza interiore dalla quale vuole uscire. Gli viene in soccorso la “Ragione” (Virgilio), inviato dall’amore della Vergine tramite Beatrice, affinché egli possa accompagnarlo in un viaggio nell’Oltretomba, che costituirà un’esperienza profonda e fattiva ai fini della redenzione e della fuoruscita del Poeta dal buio interiore. E attraverso la ragione stessa, la “conoscenza” (di cui è sempre desideroso) riuscirà a pervenire a quell’Altezza massima che, però, solo con la “Fede” (Beatrice) l’uomo-Dante potrà spiritualmente toccare. «Invero la luce divina – ha proseguito il dott. Laurenzano -, da cui Dante viene improvvisamente folgorato, segna il raggiungimento della massima realizzazione di sé (e dell’uomo che lo voglia), la massima completezza dell’uomo con la presa di coscienza piena del senso della vita: amore infinito, incondizionato, libero e autentico rivolto al Bene, attuando quel libero arbitrio di scelta tra Bene e Male; possibilità che l’uomo ha dentro di sé, per grazia divina. Sta a lui scoprirlo, cioè scoperchiare il “se stesso interiore” e trovare quanta e quale è la ricchezza di cui è possessore, e che solo la Fede vera gli può far scoprire. La Ragione lo aiuta e lo porta a conoscere delle verità che sono già dentro di lui, ma la Ragione non è di per se stessa sufficiente. Il salto di qualità l’uomo è in grado di compierlo eccome, purché prenda atto dentro di sé della propria capacità di attuare l’amore infinito».
L’opera in cui l’amore nella poetica dantesca tocca l’apice è la “Commedia”, ha rimarcato l’oratore, fin dal Canto I dell’Inferno. «Ma il Canto per eccellenza dell’amore infinito è senza dubbio il XXXIII del Paradiso – ha osservato il presidente della “Dante Alighieri”, che ha poi declamato il Canto stesso – che ha una struttura duplice: la meravigliosa preghiera alla Vergine da parte di San Bernardo di Chiaravalle, affinché interceda presso Dio ai fini dell’ultima grazia a Dante di poter giungere alla massima altezza spirituale, ed una seconda parte in cui Dante fa il suo meglio per esprimere quanto ha avuto la grazia di conoscere e vedere».
«Sia la preghiera alla Vergine, sia la seconda parte del Canto XXXIII – ha concluso il dott. Laurenzano – sono eccellentemente portati da Dante, con estrema delicatezza poetica e di sentimento, con una dolcezza che si manifesta in ogni verso, in ogni terzina, in ogni concetto del Canto: non vi è una trasgressione poetica, non vi è una sola nota di tensione nel senso di angoscia, ma siamo in presenza di altissima poesia, che si può ritenere davvero ineguagliabile».