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La pandemia non sia un pretesto per aumentare il peso dello Stato

Stuart Mill ci ha insegnato che la libertà va limitata (solo) nella misura in cui può diventare una minaccia alla libertà degli altri. Ma questo limite alla compressione della libertà è venuto molte volte meno nei periodi d’emergenza, nei quali il dubbio (l’essenza della libertà) è proibito e il confronto zittito a furor di popolo. Sono momenti nei quali lo Stato di diritto viene presentato come un intralcio a provvedere e ad agire. Nei quali l’iperstatalismo la fa da padrone, a tempo indeterminato. Ed una volta che questi provvedimenti siano assunti, anche in buonafede, bisogna stare attenti che non si radichino nell’ordinamento – come, appunto, è già avvenuto – e non divengano definitivi.

Questo momento storico che viviamo è proprio un momento emergenziale. Abbiamo visto disporre regolamentazioni con provvedimenti limitativi della libertà impropri (come i dpcm, ovvero: decreti Presidente Consiglio ministri), che si è poi legittimato sanando espressamente anche gli effetti dagli stessi già esercitati, e ciò con provvedimenti d’urgenza quantomeno – questi – corretti (e costituzionali) nella forma. Il più  importante di questi provvedimenti (il decreto legge n. 18/’20) consta di 126 articoli, per oltre 500 commi, che a loro volta contengono 67 deroghe espresse a leggi di vario genere (le deroghe tacite, o espresse con diversa formula, non così esplicita, non si contano). È un provvedimento che contiene norme di ogni tipo, riguardanti ogni settore (finanziamenti, assunzioni di un migliaio di persone circa, norme di regolamentazione). Le persone che verranno assunte saranno scelte “utilizzando graduatorie proprie o approvate da altre amministrazioni per concorsi pubblici”. I trattenimenti in servizio ed i reclutamenti “temporanei” (che poi “temporanei” non sono mai: l’esperienza insegna che una volta messo piede in un’amministrazione pubblica non se ne esce che con la pensione o la morte) non si contano. Altrettanto, il provvedimento reca inedite forme di requisizioni in uso, o in proprietà, di beni sia mobili che immobili, di proprietà sia pubblica che privata. L’esecutorietà di queste requisizioni forzate non può essere sospesa – addirittura –  neppure in sede giurisdizionale.

Attenzione, a questo punto, a non lasciarsi distrarre dalla considerazione di fondo che deve fare da guida al nostro pensiero conclusivo.  A parte infatti l’osservazione preliminare che se per fare un provvedimento ben fatto e farlo celermente ci vogliono decine e decine di deroghe, evidentemente qualcosa (indotto dalla burocrazia) non va, a parte questo – dicevo – è un fatto che siamo in presenza nel decreto legge, perlomeno per la gran parte, di disposizioni in sé condivisibili, ad una ad una considerate. Ma la concentrazione di potere nelle mani dell’attuale Governo è enorme, credo non abbia precedenti nel ‘900 se non nell’epoca fascista. Sono misure molte delle quali (abbiamo fatto l’esempio delle assunzioni temporanee)  destinate a protrarsi anche finita l’emergenza. Molte sono destinate – per volontà determinata o, comunque, di fatto – a creare, o a consolidare, centri di potere destinati anch’essi a durare ben oltre l’emergenza.

Se consideriamo che molte disposizioni sono state assunte a Camere chiuse e che saranno sottoposte ad un controllo parlamentare che (sulla base dei soliti, convenienti pregiudizi, per cui non è patriota chi – in certi momenti – disturba il manovratore) sarà più che altro formale, e comunque affrettato, se consideriamo – dunque – tutto questo, ce n’è a sufficienza per dire che occorre alzare la guardia. L’autoritarismo non è sempre evidente, e tantomeno proclamato. A volte, neanche espressamente voluto. Lo si costruisce pezzo per pezzo, perlopiù, anche per il tramite di strumenti varati democraticamente o correttamente parlamentari. L’iperstatalismo  (verso il quale fatalmente si vorrà andare dopo la pandemia, se non vi sarà il dovuto, attento controllo da parte dell’opinione pubblica) è uno dei mezzi più potenti per il controllo dell’elettorato. Così – se non s’imparerà nulla dalla pandemia – quel pachiderma che è lo Stato ingrasserà ancor più, diventerà ancor più opprimente e più invasivo. Lo diventerà anche se proprio la pandemia sta vieppiù dimostrando che troppe risorse sono andate spese per mantenere l’apparato pubblico in genere (Stato, Regioni, Comuni, Enti vari), per poi non averne più alla bisogna, proprio in una situazione come quella in cui ci troviamo.

 

 

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