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    Siamo molto Popolari: “un atto d’orgoglio di chi rappresenta una grande tradizione bancaria”

    Il diritto, la proprietà, la banca (2007, edizioni Spirali), Siamo molto popolari (2017, edizioni Rubbettino): due libri di uno stesso autore scritti a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, con la comune caratteristica della chiarezza (perché usciti dalla penna di un banchiere che è anche giornalista) e della schiettezza, perché Corrado Sforza Fogliani dice quello che pensa (e pensa quello che dice), atteggiamento di chi (oggi merce rara) ha la schiena dritta.

    Concetti sui quali si sono trovati d’accordo i prestigiosi ospiti della presentazione dell’ultima fatica editoriale del presidente di Assopopolari, che si è tenuta a Palazzo Galli della Banca di Piacenza davanti a una platea numerosissima (gremito il Salone dei Depositanti, così pure le salette attigue Douglas Scotti e Carnovali e la Sala Panini al primo piano, allestita con collegamento audio-video), replicando i successi dei precedenti appuntamenti nelle sedi ABI di Milano e Roma.

    Il condirettore di QN (Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno) Gabriele Canè, l’economista Roberto Caporale, il giornalista economico (Sole 24 Ore e Radio 24) Gianfranco Fabi, il manager  Luciano Gobbi, il presidente del Consiglio di amministrazione della Banca di Piacenza Giuseppe Nenna, lo storico ed economista Giulio Sapelli hanno ripreso – coordinati dal giornalista Robert Gionelli – i temi trattati in Siamo molto popolari (controstoria della Riforma della banche popolari voluta dal governo Renzi che arriva da lontano e porta all’oligopolio bancario) facendo dei parallelismi su quanto Sforza aveva scritto dieci anni prima, mettendo in guardia da pericoli che sono puntualmente diventati realtà.

    «Vorrei ricordare un connotato dell’autore di questo libro», ha esordito Canè: «E’ un giornalista, non solo uomo di numeri, come era giornalista Einaudi e come lo è Patuelli: una passione per lo scrivere che dà una marcia in più».  In un momento nel quale le banche sono tutt’altro che popolari, ci voleva coraggio a scriverne. «Non ho competenze tecniche per giudicare la riforma delle Popolari – ha proseguito Canè – ma penso che non sia un problema di dimensioni: non è che piccolo non sia bello, non è bello ciò che è fatto male».

    Il giornalista ha ringraziato Sforza per aver sempre difeso il valore della vicinanza delle banche popolari al territorio d’orgine, «un valore aggiunto che ci fa sentire più sicuri» e rilevato nel lavoro e pensiero del presidente di Assopopolari «una continuità tra il primo e il secondo libro».

    Roberto Caporale ha definito il volume di Sforza «chiaro, limpido, non scritto in esperanto come tanti libri economici», argomentato in modo esaustivo. «Le banche popolari – ha spiegato – per le loro caratteristiche hanno partecipato in modo efficace alla crescita del nostro sistema economico garantendo crescita, stabilità e sovranità, tre valori oggi in crisi». L’economista ha criticato le regole europee che standardizzano tutto contro il buonsenso. «Ci sono appetiti pelosi, nessuna armonizzazione è neutra, ma nasconde favoritismi a qualcuno. C’è un disegno europeo giacobino che mira a distruggere i corpi intermedi a favore della grande finanza internazionale che vede le banche popolari come un ostacolo perché, purtroppo – ha amaramente concluso Caporale – è tutta una questione di soldi».

    Giancarlo Fabi ha ricostruito il giallo del decreto del 2015 sulle banche popolari efficacemente raccontato nel libro (tutte le banche colpite dalla riforma, e costrette a trasformarsi in Spa, sono finite in mano a fondi speculativi perdendo la loro territorialità), giudicando il decreto stesso «incostituzionale, illogico, illiberale, improprio e ingiustificato», una riforma che deriva dalla logica del pensiero unico che «sposa il gigantismo a dispetto del rapporto personale e dell’economia reale».

    Fabi ha consigliato la lettura dell’intervento di Corrado Sforza Fogliani nel volume Banchieri di Bebbe Ghisolfi (una raccolta di autobiografie di banchieri, appunto, che verrà presentato a Palazzo Galli il prossimo 12 marzo) ed ha avuto parole di elogio per la Banca di Piacenza, «all’antica, che pensa al territorio e a fare qualcosa a fianco delle persone».

    Luciano Gobbi, che della Banca di Piacenza è stato presidente per cinque anni, ha con una metafora paragonato il libro di Sforza del 2007 a una paesaggio dipinto da Lorraine («eravamo in piena euforia finanziaria con derivati e quant’altro, poi ci si è resi conto che qualcosa non andava, nel paesaggio sono comparse le prime nubi e il presidente Sforza nel suo libro di dieci anni fa aveva con doti profetiche paventato tutti i guai che abbiamo poi visto»). Gobbi ha toccato un tema molto caro a Sforza: i centri decisionali che se vanno altrove facendoci diventare una colonia («la maggior perdita che Piacenza e il Paese abbia avuto») che vede sfumare indotto e occasioni di lavoro. «Sono sicuro che quando il presidente di Assopopolari scriverà il suo terzo libro, le cose andranno meglio, a patto che il potere politico si faccia carico di certe decisioni dopo il momento di grande antagonismo tra mondo reale e iperfinanzializzato; Trump, in questo senso, può essere utile», ha osservato il manager auspicando si vada oltre la riforma con un’ipotesi di lavoro che guardi al modello holding.

    «Tre cose accomunano questi due libri – ha esordito Giuseppe Nenna -: coerenza, originalità del pensiero, schiena dritta. Una voce fuori dal coro, un atto d’orgoglio in difesa del modo di fare banca delle Popolari, che non ha il profitto come unico obiettivo e che garantisce autonomia dal potere politico, con il voto capitario che rappresenta una forma di democrazia». Anche Nenna ha definito «profetico» il libro di dieci anni fa, che suonava l’allarme sul rischio della perdita dei centri decisionali, e ha sottolineato una contraddizione: «In Italia si cerca di sopprimere le Popolari, in altri Paesi sono aiutate, sostenute».

    «Il libro di Sforza Fogliani – ha affermato Giulio Sapelli – prende il toro per le corna spiegando perché si vogliono eliminare le banche popolari». Ma cosa ha provocato tutto questo? «L’equilibrio tra le potenze mondiali è cambiato – ha spiegato l’economista -. Quindici anni fa si è allentato l’ombrello americano e la Germania ha preso campo. Il nostro Paese si è portato dietro il cosmopolitismo delle classi dirigenti a cui non importa nulla delle sorti dell’Italia. Bisogna essere aperti al mondo, d’accordo, ma occorre avere ben vivo il concetto di Patria», altrimenti si abbassano le difese e «si permette il saccheggio al cuore del risparmio italiano che le Popolari rappresentano». A parere di Sapelli un altro problema è rappresentato dal sistema di formazione della classe dirigente («molto deteriorato») con l’Università che viene finanziata in rapporto al numero di laureati («ai miei tempi si andava in 100 e si arrivava in 20; oggi si arriva in 100). Attraverso le banche popolari si vogliono colpire le piccole e medie imprese che sono le clienti del credito cooperativo. «Ma non è un complotto – ha concluso Sapelli – bensì un processo storico pieno di contraddizioni e stupidità a cui quasi nessuno si oppone. Triste Paese il nostro. Il 4 marzo si vota e non c’è in giro un manifesto. La politica ha mortificato e desertificato l’Italia».

    In chiusura ha preso la parola l’autore delle pubblicazioni. «E’ stato detto tutto quello che si poteva e doveva dire, il campo è stato arato fino in fondo», ha esemplificato Sforza Fogliani che ha dichiarato l’amore per la categoria delle banche popolari. «Il libro – ha proseguito – ha voluto essere un atto d’orgoglio perché sentiamo di rappresentare una grande tradizione non solo sul piano economico, e un atto di denuncia: i dati che si riferiscono alla composizione azionaria del capitale delle grandi banche sono spaventosi; sono diventate di proprietà dei fondi internazionali speculativi. Quando si è colonie, quando si perdono i centri decisionali, non c’è più futuro per il Paese e per le province che non hanno una banca locale, che è come la salute: si apprezza quando non c’è più». Il presidente Sforza ha ricordato i 40 milioni all’anno che la Banca di Piacenza riversa sul territorio (finanziamenti esclusi), cosa che nessun altra istituzione fa: «Continuiamo la nostra vita come Banca di Piacenza – ha spiegato Sforza – fatta di attenzione per quello che va attenzionato.

    Sabato inaugureremo la Salita al Pordenone riprendendo una tradizione antica che rimarrà nel tempo. Ci vantiamo di aver fatto tutto con le nostre forze, senza aver chiesto un euro alle istituzioni pubbliche e senza distogliere soldi della comunità ad altri impieghi, specie in questo periodo ci crisi. A breve verrà presentato ai soci il bilancio, con risultati che consentiranno di aumentare il dividendo. Simili traguardi sono possibili anche grazie agli amministratori e ai dipendenti che sono vicini alla Banca. E questo vuol dire essere vicini al territorio».

    L’on. Daniele Capezzone e Paolo Cirino Pomicino, previsti tra i relatori, non sono riusciti a raggiungere Piacenza a causa dei disagi nei trasporti ferroviari provocati da neve e gelo. Pomicino ha inviato un messaggio (pubblicato su questo stesso sito) nel quale, scusandosi, ha analizzato con acutezza il problema della riforma delle Popolari, e riferendosi a Sforza Fogliani ha scritto che «testimonia in ogni occasione che la vera giovinezza non è quella anagrafica ma quella del pensiero».

    Emanuele Galba

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