Descrivere dal di dentro il funzionamento del nostro Parlamento, o meglio il malfunzionamento dello stesso e della politica in generale. È l’obiettivo che si è dato Carlo Cottarelli con la sua ultima fatica editoriale “Dentro il Palazzo, cosa accade davvero nelle stanze del potere” (Mondadori), presentato al PalabancaEventi per iniziativa della Banca di Piacenza e di Arca Fondi SGR.
In una Sala Corrado Sforza Fogliani gremita, l’illustre ospite ha raccontato la sua esperienza da senatore (eletto con il Partito democratico nell’ultima tornata elettorale) durata solo otto mesi e ha ricordato i giorni passati al Quirinale da Presidente del Consiglio incaricato per risolvere una crisi istituzionale senza precedenti dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018: argomenti che formano le due parti nelle quali è diviso il libro.
A fare gli onori di casa il direttore generale della Banca Angelo Antoniazzi, che ha introdotto gli ospiti (il vicedirettore di Arca Fondi SGR Simone Bini Smaghi e l’economista cremonese, di cui ha ricordato le esperienze al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca d’Italia; attualmente dirige l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, dove insegna) e concluso con una domanda al prof. Cottarelli relativamente al fatto che i programmi presentati dai partiti quando ci sono le elezioni sembrano più suggeriti da esperti di marketing piuttosto che da visioni di uno statista. «I programmi elettorali – ha risposto l’ex senatore – sono pieni di promesse che poi non possono essere mantenute, e questo toglie interesse ai programmi stessi. Chi vince le elezioni, infatti, poi si accorge che i soldi non ci sono; ma non è complicato vedere prima che spazi ti concede la finanza pubblica. L’unico disegno di legge che ho presentato durante i miei otto mesi al Senato riguardava proprio l’introduzione dell’obbligo per i partiti di indicare dove prendevano i soldi. Una proposta di cui non è stata avviata nemmeno la discussione».
Attraverso le domande del dott. Bini Smaghi, l’autore ha illustrato la prima parte del volume. Perché si è dimesso? «Non ero molto felice per quello che stavo facendo. Avevo l’impressione di essere lì a scaldare la sedia. Nel Pd, poi, la situazione era cambiata. Ero stato eletto come indipendente e avevo scelto quel partito sulla base di un documento sui valori del 2018 che nel 2023 sono cambiati, spostandosi a sinistra. Mi è stato proposto di cambiare casacca, ma non mi è sembrato giusto e ho lasciato il posto al primo dei non eletti. Abbandonare il Parlamento non è però così semplice: devi dimostrare di andare a fare qualcosa di rilevante, altrimenti le dimissioni non te le accettano. Allora con la Cattolica abbiamo studiato il progetto PESES (Programma di Educazione per le Scienze Economiche e Sociali); nel primo anno siamo andati in 165 scuole a ridare fiducia a insegnanti e studenti attraverso la partecipazione di personaggi di primo piano, tra i quali cinque ex Presidenti del Consiglio, da Amato e Monti, a Draghi; abbiamo ora aperto il secondo anno e le domande sono già arrivate a 200».
Un’esperienza, quella a Palazzo Madama, archiviata dunque da Cottarelli come non esaltante: «L’unica cosa buona è lo stipendio – ha rimarcato -. Il problema fondamentale è che nel corso degli ultimi 15 anni il potere del Parlamento si è ridotto rispetto a quello del Governo. E se il Parlamento perde peso, se sei in maggioranza sei lì a prendere ordini dai tuoi capi-partito a cui devi la tua elezione, con la legge elettorale attuale senza preferenze; se sei in minoranza, fai opposizione per partito preso. Capite che la demotivazione è massima». I segnali principali della sempre maggior prevalenza del potere esecutivo? Per l’autore di “Dentro il Palazzo”, l’abuso nell’utilizzo dei decreti legge, l’eccessivo ricorso al voto di fiducia, l’uso della legge delega, l’atto in cui il Parlamento delega appunto il Governo a scrivere le leggi («prassi pericolosa anche perché i principi entro i quali muoversi che detta il Parlamento sono sempre più vaghi, come è capitato sulla legge delega sul Fisco che ha permesso al Governo di emanare 10 decreti legge»).
Tornando ai costi della politica sollecitato dal dott. Bini Smaghi, il prof. Cottarelli ha snocciolato qualche cifra: i nostri parlamentari guadagnano circa 3-4mila euro in più dei colleghi francesi, tedeschi e spagnoli e se è vero che il cedolino dello stipendio base è di 4.500 euro netti al mese (come dichiarato da Fassino) a entrarti in tasca – considerando le varie indennità – sono in realtà 12mila euro netti al mese, senza contare i vari benefit come i viaggi gratis in treno e in aereo (anche non per motivi di lavoro) o la carta di credito che come la inserisci avvia il pagamento senza chiederti nessun codice («la cosa che mi manca di più», ha scherzato l’ex senatore).
Altro argomento toccato, l’astensionismo. «Problema molto serio – ha sottolineato l’economista – perché denota il senso di sfiducia generalizzato nei cittadini. Nel libro ci sono 14 proposte di riforma del sistema politico-parlamentare che potrebbero attenuare questa sfiducia. L’importanza di andare a votare, che ricordo è un obbligo, andrebbe insegnata nelle scuole».
Nella seconda parte del volume, come già accennato, si racconta l’esperienza di presidente del Consiglio incaricato vissuta da Cottarelli nel 2018. Dopo il voto (nessuno aveva vinto) Lega e 5Stelle si accordarono per formare un governo. Sorse però un problema sulla scelta del ministro dell’Economia nella persona di Paolo Savona, considerato a capo dei no-euro. Un nome sul quale Mattarella mise il veto. Si aprì quindi una crisi istituzionale senza precedenti e il Presidente della Repubblica diede l’incarico a un tecnico di formare un Governo che portasse il Paese a nuove elezioni: Carlo Cottarelli. «Una sera ero a casa e mi accingevo a prepararmi un piatto di lenticchie, quando squillò il telefono: “Buonasera prof. Cottarelli, le posso passare il presidente Mattarella? Tutto iniziò così. L’indomani presi il treno per Roma. Al mio arrivo alla stazione constatai che non c’erano auto blu ad attendermi (forse perché qualche tempo prima avevo chiesto la loro abolizione?); presi allora un taxi che mi portò al Quirinale. Per quello che mi presentai con il trolley (un’immagine che ha fatto il giro del mondo, ndr), mica potevo lasciarlo al taxista. Dopo il primo colloquio con il Presidente accettai con riserva e il giorno successivo ero pronto con la lista dei ministri, leggendo la quale avrei sciolto la riserva stessa. Ma era successo che i mercati finanziari, nel timore di nuove elezioni, erano impazziti e lo spread era salito di 100 punti toccando quota 300. Mattarella mi domandò se era il caso di andare avanti; gli risposi di no, perché non avrei mai ottenuto la fiducia del Parlamento e il mio Governo avrebbe potuto gestire solo l’ordinaria amministrazione e in quelle condizioni non si può gestire una crisi finanziaria. Dissi al Presidente che era necessario convincere i giallo-verdi a scendere a un compromesso, abbandonando il nome di Savona. La mattina del 31 maggio il Quirinale mi chiamò: si era aperto uno spiraglio, Conte stava arrivando a Roma. Tornai quindi al Colle a restituire l’incarico per far partire il Governo Conte. Mattarella mi ringraziò con queste parole: “La Repubblica è in debito verso di lei”».
L’incontro si è concluso dopo un ampio dibattito nel quale si è dato spazio alle domande degli intervenuti ai quali – fino ad esaurimento – è stata consegnata copia del volume con precedenza ai Soci e ai Clienti prenotati.