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La stoccata di Matilde Burgazzi contro il virus che le ha strappato papà Massimo

Quando la Federazione della scherma ha ricevuto la lettera da Alessandro Bossalini, non ci ha pensato due volte e ha chiesto di poterla pubblicare sul sito della Fis. La lettera non è di Bossalini, ma di Matilde Burgazzi, 18 anni, figlia dell’avvocato Massimo scomparso a causa del Covid-19. Matilde è cresciuta al Pettorelli e come arma ha scelto la spada. La lettera-riflessione è toccante, piena di ricordi, ma racchiude una forza incredibile ed esalta i valori più nobili dello sport. Sport che va a braccetto con la vita. Una stoccata alle avversità. Sotto, il testo della lettera di Matilde.

“LA SCHERMA, METAFORA DELLA VITA”

Cara scherma,

è quasi un mese che non ci vediamo e mi manchi tanto.

Come sai, però, è un periodo delicato: nessuno può uscire di casa e abbiamo tutti tanta paura.

Là fuori c’è un avversario terribile, di quelli che sali in pedana tremando.

Io l’ho già visto e affrontato.

Vedendolo da fuori, ha un aspetto bizzarro in quanto è basso ma bello rotondo.

Inoltre, ha cinquanta spade con le quali può colpirti mentre noi solo una.

Appena l’ho visto mi sono lamentata con l’arbitro dicendo che era una sfida impari e che non era giusto.

Mi sono sentita rispondere che però non potevo farci niente, la vita è piena di ingiustizie e quella era solo una delle tante.

Ero spaventata anche perché il mio papà, prima di me, aveva affrontato questo avversario, ma aveva perso.

L’ho visto lottare come un leone ma il risultato era di 15 a 14.

Lui ha combattuto per me, l’ha fatto stancare per permettermi di vincere.

Mentre agganciavo il mio passante al rullo tutti questi pensieri scorrevano nella mia testa.

Dopo mi sono messa la maschera, ho rialzato le calze e ho controllato che la mia spada funzionasse. A quel punto ero pronta per combattere.
Prima di mettermi in guardia, ho guardato dietro di me.

C’erano i miei allenatori, sempre in fondo alla mia pedana da ormai nove anni, ma anche i miei famigliari e amici.

Saperli vicini mi ha dato tanta forza e coraggio.

Ovviamente la paura c’era ancora ma si era trasformata in voglia di vincere e anche di riscatto.

A metà assalto eravamo pari, sapevo di avere lividi sulle cosce e sulle braccia, ma ciò che mi spaventava di più era il fiatone.

Temevo che da lì a poco sarei svenuta. Allora mi sono ancora girata, il mio allenatore mi ha dato qualche consiglio e i miei cari hanno fatto il tifo per me.

Ero carica, dovevo vincere. Stoccata dopo stoccata ce l’ho fatta.

Arrivata a 15 punti abbiamo tutti esultato e il mio avversario si è spezzato in mille pezzetti.

Mi faceva male tutto ma questo non era importante, avevo sconfitto un mostro! Mentre mi riposavo, mio papà è venuto a congratularsi con me: “ti ho sempre detto che sei forte e che devi credere in te stessa, ammetti che comunque hai vinto anche grazie a me!”.

Dopo siamo scoppiati a ridere, ogni volta che mi aiuta e riesco a vincere o prendo un bel voto è anche un po’ merito suo.

Grazie scherma, hai plasmato il mio carattere più di ogni altra cosa.

Mi hai insegnato a non mollare mai, anche quando mi fanno male i muscoli e mi sento di non poter più andare avanti.

Ho capito che devo insistere, anche quando una gara non va come avrei voluto e mi viene voglia di mollare tutto.

Dopotutto, rinunciare è più facile di lottare, ma così non si cresce.

Ho imparato anche a gestire l’ansia e accettare le decisioni che reputo sbagliate. Infine, grazie a te ho incontrato tantissime persone meravigliose che sono per me una seconda famiglia. Penso che, se oggi sono quella che sono, è anche grazie a te.

Se ad oggi mi chiedessero cosa sei per me, risponderei che sei una metafora della vita.

In effetti, come dicono anche gli 883, “la vita è come una lunga corsa a ostacoli dove non ti puoi ritirare, soltanto correre, con chi ti ama accanto a te”.

Grazie scherma e grazie papà, vi voglio bene e spero di potervi rincontrare presto”.

Matilde Burgazzi

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