Open Day in Cattolica, studenti a caccia del proprio futuro

Aule piene e sguardi vispi rivolti verso il proprio futuro. Così si sono approcciati gli studenti che hanno partecipato all’Open Day dell’Università Cattolica di Piacenza nella giornata di venerdì 13. Nella piazzetta di Economia dell’Ateneo sono stati predisposti desk informativi presi d’assalto dai futuri studenti, provenienti sia da Piacenza che da fuori provincia, segno anche questo di appetibilità raggiunta a livello regionale e nazionale.

Per gli imprenditori di domani c’è General Management, che offre la possibilità di comprendere tutte le dinamiche interne di un’azienda e cercare di far crescere la propria attività. La professoressa Elena Zuffada ha precisato che in un momento storico turbolento come questo, è importante avere anche questo tipo di competenze, evitando brutte sorprese per il futuro. Ma ci sono altre competenze, che il corso forma in modo particolare: le soft skills, forse considerate in passato “marginali”, ma oggi sempre più importanti nel mondo del lavoro. “Facciamo riferimento alle capacità di leadership, di networking, di trasformare le criticità in possibilità. Non garantiamo che una volta laureati le persone potranno già essere manager, ma le possibilità di avanzamento sono molte”. Costanza Mariani, studentessa di General Management, concorda su questo punto: “Conoscevo le qualità dell’insegnamento, che è ottimo, grazie anche alla possibilità di affrontare case studies, e i contatti che l’Università ha col mondo del lavoro. E’ un percorso per chi non vuole precludersi nessuna porta sul futuro lavorativo”.

Intanto al desk vari capannelli di tutor, studenti, ed ex studenti in visita si scambiano opinioni sulle peculiarità delle Facoltà, cercando di chiarire più dubbi possibili. A Scienze di Formazione ci accoglie Gessica Monticelli, ex studentessa della stessa Facoltà passata al ruolo di tutor: “La mia esperienza in Facoltà è stata meravigliosa, tanto che ho scelto un ambito lavorativo attinente all’ambito accademico. Il tutor vuole essere uno strumento in mano alle matricole per la scelta del piano di studi, ovvero quali esami scegliere rispetto ad altri, e un supporto per il metodo di studio. Quello che mi chiedono più spesso è la spendibilità delle competenze nel mondo del lavoro, che per quanto riguarda la nostra Facoltà è molto valida: già alla triennale vediamo gli studenti inseritio in un percorso lavorativo grazie ai tirocini”.

La Facoltà di Scienze della Formazione ha presentato, tra i tanti l’indirizzo di “Progettazione pedagogica nei servizi per i minori”, grazie a Pierpaolo Triani.”Una delle ultime novità previste dalla legge – esordisce -, è l’introduzione del pedagogista come figura professionalmente più avanzata rispetto a quella dell’educatore, con la possibilità anche di insegnare Scienze Umane e Filosofia nelle scuole superiori, nel caso in cui venga ben strutturato il proprio piano di studi, scegliendo determinati esami. La figura del pedagogista ha un ruolo maggiore anche dal punto di vista della gestione e dell’organizzazione“. Ad elencare le peculiarità del corso anche Roberto Diodato e Daniele Bruzzone. “Formiamo competenze che servono per comprendere i bisogni educativi dagli 0 ai 18 anni. Ampia è la gamma di problematiche che affrontiamo, dall’abbandono scolastico ai minori non accompagnati, così come altri rischi di disagio, senza trascurare aspetti giuridici legati alla figura del minore, all’economia aziendale e con un occhio alle nuove tecnologie, sempre più importanti nella società e causa di complicazioni talvolta gravi”.

La Facoltà di Scienze e Tecnologie Alimentari si è presentata con Marco Trevisan, Preside della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, coadiuvato da Edoardo Fornari. “Il nostro obiettivo finale è quello di formare persone per il controllo della qualità e analisi degli alimenti, verificarne origine e l’autenticità. Gli sbocchi occupazionali sono tutti quelli relativi alla filiera alimentare, tutti, in un territorio dove il food è settore trainante, chi diventerà dottore magistrale avrà la possibilità di ricoprire anche la figura di libero professionista e consulente”. E’ molto però considerare i mutamenti del mondo del lavoro di oggi, come sottolinea anche Fornari- “La laurea triennale non basta più, la magistrale è definitiva, perciò è giusto pensare bene quale percorso di studio intraprendere, perchè ne va del futuro dei ragazzi. Giusto valutare anche quelli che sembrano dettagli. In ognuno di loro ci sono talenti che aspettano solo di essere scoperti”. I numeri, redatti dalla stessa Facoltà, sembrano incoraggianti, il 73% dei ragazzi laureati infatti dopo un anno dal conseguimento del titolo è già occupato, e le statistiche salgono col passare del periodo considerato. 

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Europa in mutamento, dibattito in Cattolica con Gianfranco Pasquino

Dove soffia il vento in Europa, almeno a livello politico? Lungi da noi essere politologi, ma sicuramente un cambiamento è in atto. Per capirne un po’ di più il Laboratorio Mondialità Consapevole ha chiesto lumi a Gianfranco Pasquino, accademico torinese per anni insegnante all’Università di Bologna, durante un incontro del percorso formativo che si sta tenendo in queste settimane in Cattolica. Abbiamo voluto intervistarlo.

“L’Europa e tutti i Paesi europei sono sempre esposti – ha sottolineato Pasquino – a venti che vengono dagli Stati Uniti. Sono una grande economia, hanno controllato a lungo il sistema internazionale, qualche volta in coabitazione con l’Unione Sovietica, cercando sempre di condizionare la politica degli alleati, riuscendoci in più di un’occasione. Gli europei erano per metà convintamente atlantici e per l’altra metà si rendevano conto che avevano bisogno degli Stati Uniti se volevano evitare le sfide che venivano dall’Unione Sovietica. Quindi nel momento in cui cambia la presidenza tendendo ad un atteggiamento isolazionista non più interessato a mantenere un ordine internazionale liberale cercando di manipolare i dazi. Tutto questo ha un impatto inevitabilmente negativo sull’Europa, perchè crea tensioni e impedisce la creazione di politiche di sviluppo”.

Esiste una ondata di destra in Europa? Se si, da dove nasce? 

Ancora non esiste una vera ondata di destra, pur essendoci politiche di alcuni Stati europei che vanno verso quella direzione. E’ un problema che tuttavia non riguarda Trump, che esagera nelle sue esternazioni e non verranno seguite da fatti perchè impossibile. Riguarda problemi su cui l’Europa ha purtroppo scarsissima possibilità di controllo: la povertà e la fame in Africa nascono ben prima dell’Europa, le guerre in Siria e in Yemen, sono situazioni conseguenti alla politica estera degli Stati Uniti, che se non avesse invaso l’Iraq avrebbe reso molto più improbabili questi fenomeni.

Cosa ne pensa dei cosidetti populismi? Esisteva già un fenomeno europeo che spirava verso il cambiamento o alcune politiche provenienti dal di fuori hanno dato il via libera? 

Una componente esterna sicuramente c’è, ma la componente fondamentale è interna. Sconsiglierei a tutti di usare il termine populismo per definire quello che non ci piace. Marine Le Pen è l’espressione della destra francese, e col populismo ha poco a cui spartire, così come Alternative Fur Deutschland è l’espressione dell’estrema destra tedesca che si riorganizza. Vorrei sottolineare che il populismo è insito nelle democrazie, c’è per stessa definizione anche nelle costituzioni, ad esempio italiana (la sovranità appartiene al popolo) e statunitense (with the people). Quello che dovrebbe preoccuparci è la reazione fortemente incentrata su valori tradizionalisti, perchè i populisti europei sono reazionari nei confronti dei tanti che sono diventati europeisti. Sono i sovranisti come Salvini e Meloni quelli con cui non possiamo convivere e che anzi, dobbiamo combattere.

Come? 

Consiglio di delegittimarli in continuazione, cioè far notare che le loro ricette non funzionano, che sono vecchie e difficilmente applicabili, che il loro appello al popolo è indistinto e in realtà non c’è. Deve esserci una visione inclusiva di quella che è la società e che non può essere limitata alla sfera nazionale

In tutto questo cambiamento, i giovani sono ormai un “tema”. Stanno diventando apatici e svogliati o è l’Italia e l’Europa che li mortifica in qualche misura? 

Il problema dei giovani è strettamente legato al mondo del lavoro. Non siamo di fronte all’industrializzazione che creava posti di lavoro, ma alla deindustrializzazione e alla possibilità di far lavorare dei robot. Siamo di fronte a una incapacità di comprendere quali saranno le tecniche, le conoscenze necessarie per entrare in un nuovo mondo del lavoro, con Università e scuole che faticano a seguire i mutamenti in corso. In altri Paesi europei sono maggiormente disposti ad accettare il cambiamento, come in Gran Bretagna, in Olanda o in Danimarca.

ABSTRACT IN ENGLISH

…the European populists are reactionary towards the many who have become Europeanists. The sovereigns like Salvini and Meloni are those with whom we can not live together and that we must fight.

As?

My advice is delegitimize them continuously, point out that their ideas do not work, which are old and difficult to apply, that their appeal to the people is indistinct and in reality there is not.

….In all this change, young people are now a ‘theme’. Are they becoming apathetic and listless or is it Italy and Europe that mortifies them to some extent?

The problem of young people is closely linked to the world of work. We are not facing the industrialization that created jobs, but the deindustrialization and the possibility of making robots work. We are faced with an inability to understand what will be the techniques, the knowledge necessary to enter a new world of work, with universities and schools that are struggling to follow the changes in progress. In other European countries they are more willing to accept change, like in Britain, Holland or Denmark.

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Agrovoltaico nuova frontiera per l’agricoltura, convegno in Cattolica

Come sarà l’agricoltura del futuro? Se da una parte nel mondo in cui viviamo il fabbisogno di cibo è sempre più impellente data la crescita demografica, dall’altra parte si nota che la perdita di spazi agricoli a fini energetici necessita di essere limitata. Contemporaneamente la crescita di energia elettrica si insidia sempre più anche nel settore agricolo. E’ necessario trovare soluzioni alternative, ma soprattutto sostenibili. Con questo spirito remTec, azienda con sede al Casalromano (MN) si è presentata questa mattina nell’aula Piana dell’Università Cattolica di Piacenza, pensando al futuro e proponendo l’agrovoltaico come possibile soluzione. Presenti in veste di relatore Giancarlo Ghidesi, CEO di remTec, Roberto Angoli, consigliere remTec, Stefano Amaducci del Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili – Università Cattolica del Sacro Cuore. Paolo Mancioppi, assessore all’Ambiente del Comune di Piacenza, ha portato i saluti dell’Amministrazione.

L’agrovoltaico è innanzitutto un sistema di inseguimento solare mono o bi assiale che permette di massimizzare la produzione di energia elettrica da fonte solare, mantenendo disponibile il terreno sottostante per l’attività agricola.

“Il progetto – ha spiegato Angoli -, è frutto di attività condivisa tra un gruppo di studio conosciutosi 8 anni fa. L’obiettivo è quello di produrre energia solare gestendo la superficie, a differenza dei pannelli solari sui tetti delle case. Duplicando la superficie di terreno, possiamo mettere i pannelli fotovoltaici che permettono al sole di raggiungere il terreno. Abbiamo fatto vari controlli sui materiali, sui pesi e attendendo tutte le autorizzazioni del caso, visto il coinvolgimento di 24 enti. Una strada lunga che ha portato però a sviscerare ogni dettaglio”.

I risultati portati sono incoraggianti: “Sovrapponendo i due strati, possiamo arrivare anche ad un aumento del 45% di produzione agricola, senza impatti per l’agricoltura nel suo complesso. remTec è detentrice del brevetto, stiamo lavorando oggi per esportare la nostra tecnologia in Cina e Giappone dove abbiamo rispettivamente 3 impianti (riso) e 2 (thè verde). Siamo riusciti in questo anche senza gli incentivi prima offerti dallo Stato”.

“Abbiamo cercato di migliorare l’efficienza energetica – sottolinea Amaducci -, attraverso l’ottimizzazione dell’uso di concimi e di acqua, per un’agricoltura conservativa e di precisione”.

Mancioppi ha rimarcato l’importanza di un progetto di portata internazionale: “I frutti che la terra è in grado di donarci sono importanti tanto quanto l’energia per produrla”. 

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A lezione di giornalismo in Cattolica con Domenico Quirico

Iniziato ieri con un ospite di spessore il quinto corso di formazione organizzato dal Laboratorio Mondialità Consapevole “Quasi alla fine del Mondo – Politiche in un mondo in movimento”. Domenico Quirico in Cattolica ha spaziato dal tema dei migranti al giornalismo, passando dalla geopolitica e la guerra.

“Siamo passati dall’epoca delle guerre ideologiche, che erano quelle degli anni 70 e 80, in cui anche con le parti più radicalmente opposte all’occidente esistevano punti di contatto ideologico. Adesso siamo entrati nella fase delle guerre etniche, tribali e del fanatismo religioso. La guerra del Califfato ha segnato il passaggio da una stagione all’altra“. In che senso?

Non solo non c’è il riconoscimento della controparte, come poteva essere lo ius belli romano, ma la controparte non ha alcun punto di contatto con noi. La quintessenza del Califfato è la negazione dell’avversario, noi siamo il male che deve essere combattuto ed eliminato.

“In secondo luogo, la guerra per loro è l’unica ragione di vita, noi l’abbiamo rifiutata fortunatamente, ma non siamo più in grado di farla, cerchiamo disperatamente di inventarci una guerra senza morti. Allora c’è un tentativo di soluzione tecnologica, da qui l’utilizzo di droni che da soli uccidono e che vengono telecomandati (senza creare perciò senso di colpa, non c’è l’atto dell’uccidere). Opuure cerchiamo qualcuno che faccia la guerra per noi. Non per una scelta di santità, credo che oggi nei Paesi occidentali non ci sono leader disposti a pagare un prezzo di vite umane, di ricchezza”.

USA E IL BOTTONE ROSSO DI KIM

Quirico considera ad esempio la posizione presa da Barack Obama di non mandare in guerra cittadini americani: “Una politica estera priva di senso, perché dichiarando questo gli avversari hanno capito che potevano fare quel che volevano. Non è un caso che Putin abbia deciso di prendere antiche posizioni, che il Califfato abbia cominciato ad attaccare, perché il padrone non aveva più il guinzaglio, ci sono momenti in cui la guerra è necessaria”. “Il problema – continua – è cercare di capire cosa c’è in palio. Se uno Stato non la può fare perché non ha la possibilità di convincere i propri cittadini che quella è una cosa necessaria, allora bisogna rivedere il nostro ruolo nel mondo, e prepararsi a un mondo in cui il disordine può essere veramente totale, non perché credo in un ordine imposto dall’occidente. Kim Jong Un ha capito tutto da questo punto di vista: ha visto che il mondo è cambiato rispetto al passato, quando chi si faceva le armi di distruzione di massa veniva annientato, e si è creato un’assicurazione, una garanzia con il nucleare. Trump lo ha minacciato, ma ora si incontrano quasi tra pari. Non lo tocca più nessuno, questa è la situazione nel mondo oggi, ognuno si prende quello che gli pare”.

Quirico è stato rapito nel 2011 e nel 2013, prima in Libia e poi in Siria, mentre esercitava la sua professione di inviato per La Stampa. Si è sempre diretto dove dove le atrocità erano all’ordine del giorno e dove i progetti di vita erano arrivare alla fine della giornata sani e salvi. “Una scelta deliberata, consapevole. Ci sono cose nel mondo che ritengo obbligatorio cercare di raccontare, e quindi bisogna assumersi una percentuale di rischio. Questo è quello che reputo io giornalismo”

GIORNALISMO COME TESTIMONIANZA

“Il giornalismo è un’attività parzialmente imprenditoriale e parzialmente intellettuale. L’unica ragione per cui il giornalismo può ancora avere qualcosa da dire è la testimonianza delle cose fondamentali del tempo in cui si vive, oggi sicuramente non sono né l’ascesa del M5S né la discesa del PD, ma le migrazioni e il disordine del mondo. È un mestiere, quello del giornalista, in cui serve un totale distacco”. C’è il rischio di diventare cinici? “Questo è l’errore – sottolinea Quirico -, purtroppo un vizio del giornalismo di oggi, tutto diventa solo un riempitivo per evitare il silenzio. Mai perdere la curiosità per quello che accade intorno e la commozione”. Anche in merito alle tirature medie di oggi Quirico è molto chiaro: “Ogni giorno tutti i quotidiani vendono complessivamente meno di un milione di copie. Questo significa che qualcosa non funziona nel sistema, ma se la soluzione è il passaggio all’online, significa la chiusura di tutte le testate in circolazione. Non c’è un giornale in Italia che possa reggersi solo sull’edizione online. L’online è ancora un’ipotesi, non esiste ancora, tra 5 o 10 anni forse cambieranno le cose. Pertanto va pensato anche un nuovo sistema di scrivere, i miei pezzi di mille righe sicuramente non posso metterli in rete. Il punto è: quante righe ci vogliono per raccontare una storia?”.

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Torlasco: “La legge italiana non favorisce l’impreditorialità femminile, ma qualcosa sta cambiando”

L’8 marzo si avvicina a grandi passi e l’Università Cattolica ha pensato di celebrare degnamente questo avvenimento con una serie di incontri dedicati all’imprenditoria femminile, grazie alle Facoltà di Economia e Giurisprudenza. Si è partito oggi con Maria Claudia Torlasco, presidente nazionale di Aidda, Associazione Imprendritici Donne Dirigenti d’Azienda, nonchè imprenditrice sanremese proprietaria della Mastelli Srl, eccellenza nel campo della dermatologia, ginecologia, radioterapia, medicina estetica e ortopedia.

Come si distingue una guida femminile in azienda da una maschile? “Nel 2014-2016 abbiamo partecipato a un gruppo di lavoro che ha condotto un’indagine in 6 Paesi d’Europa, (Italia compresa) su 200 imprese sopra i 250 dipendenti passate da una governance maschile a una femminile. Il risultato scientificamente significativo emerso è che dopo il passaggio al femminile le performance economiche sono migliorate”. La legge italiana non favorisce l’imprenditorialità femminile. In uno studio condotto nel 2017 da Equileap, riportato da Il Sole 24 Ore, che prendeva in considerazione composizione del Cda, top management, rapporto vita/lavoro all’interno delle aziende ed impegno nell’emancipazione femmnile, si nota come le aziende più “sensibili” al tema a livello nazionale siano solo 64° e 150° a livello mondiale (rispettivamente le due banche Intesa San Paolo e Unicredit).

“Ma qualcosa si è mosso – assicura Torlasco -, la legge del 2012 sulle quote rosa nei consigli di amministrazione delle SpA ha mosso dei meccanismi consolidati, scardinando abitudini che vedevano gli uomini prevalere. Poi c’è stata la legge del finanziamento alle imprese femminili. Insomma qualcosa c’è, non tantissimo, ma qualcosa c’è”.

Altro tema cui prestare attenzione è il gap salariale che ancora attanaglia molte imprese italiane. AIDDA è nata proprio per sostenere e incentivare l’imprenditorialità femminile, opponendosi a disuguaglianze di sorta. L’interesse per il tema dell’impresa femminile lo spiega il prof. Paolo Rizzi, promotore dell’iniziativa, insieme alle prof.ssa Franca Cantoni e Barbara Barabaschi “La cosiddetta Womeneconomics può rappresentare oggi, in un momento di profonda revisione delle strutture sociali e dei valori collettivi che fondano la convivenza tra individui ed istituzioni, una forma di economia nuova, più equa e resiliente”. 

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Cives approfondisce il “Far Web” con Matteo Grandi

Appuntamento ricco di spunti quello consumatosi ieri a Cives con Matteo Grandi, giornalista nelle librerie attualmente con “Far Web – Odio, bufale e bullismo. Il lato oscuro dei social” (Rizzoli, 2017).

Le leggi per la rete non servono assolutamente a nulla – esordisce – per il semplice motivo che gli illeciti sono tali sia dentro che fuori il web. In rete tendiamo a dare il peggio di noi stessi, in quella che crediamo essere una zona franca, sospesa dalla legalità. Uno dei maggiori problemi che si riscontrano negli utenti è proprio la mancanza di cognizione dello strumento che si sta utilizzando, serve in questo una educazione digitale”. Il giornalista prende come esempio il caso dell’intervista telefonica che Selvaggia Lucarelli fece a una sua hater, che su Twitter l’aveva coperta di ingiurie pesanti. “Una leonessa da tastiera trasformata in agnellino nel giro di pochi istanti”.

Esistono inoltre pagine su Facebook che hanno come topic le donne e gli handicappati come fonte di scherno. “In alcuni gruppi chiusi ci sono maschi che condividono foto di donne prese in momenti della loro giornata (a loro insaputa) e gli altri componenti del gruppo sono invitati a commentare, dando sfogo al peggio delle proprie pulsioni sessuali. Il problema non è social, è sociale”.

Ovviamente il web ha amplificato in modo esponenziale determinate emozioni, sia positive che negative. “Il web ha dato bocca a legioni di imbecilli”, sosteneva Umberto Eco. “Tutto quello che una volta dicevamo al bar, per esempio, nasceva e finiva tra quelle mura. Ora attraverso la rete viene condiviso e diviene virale. In questo modo frasi e comportamenti inadatti trovino addirittura legittimazione”.

Le Fake News sono un esempio di come arrivare alla “pancia” delle persone, ai loro sentimenti, per ottenerne infine un ricavo economico. “Chi crea siti ad hoc lo fa per quello, conosce la grammatica di una notizia e ne crea una fasulla che colpisce, per raggiungere più clic, più traffico, più pubblicità e quindi maggiori ricavi. Cercare di dare loro meno pubblicità può essere un modo per combattere le notizie false, che comunque nella storia sono sempre esistite e sempre esisteranno”. Si annidano talvolta anche nelle fonti, nei giornali più accreditati. Tre piccoli esempi:

La storia fasulla di Frida Sofia, una bambina rimasta sepolta sotto una scuola di Città del Messico dopo un violento terremoto. La bimba non esisteva  

Elenco degli oggetti ritrovati dopo un concerto di Vasco a Modena Park. Elenco completamente inventato 

La storia della sposa bambina in Veneto, anche questa dimostratasi falsa 

“Per essere persone informate – conclude Grandi – dobbiamo trasformarci in utenti attivi, non passivi. In passato le notizie che si apprendevano dai giornali o in televisione erano vere, oggi c’è sempre bisogno di una verifica”. Questa è l’unica notizia certa.

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La realtà del campo nomadi nella mostra “Il quotidiano che non è ovvio” di Caritas Diocesana

Due mondi geograficamente vicini ma storicamente lontani come il Campo Sinti di via Torre della Razza cercando di strizzarsi l’occhio, come il click di una macchina fotografica, grazie alla mostra “Il quotidiano che non è ovvio” presentata il 30 ottobre nei locali di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Piacenza per iniziativa di Caritas Diocesana, in collaborazione con la cooperativa L’Arco e con il contributo dell’Orto Botanico – Cooperativa Sociale. Gli scatti, realizzati da Sergio Ferri, hanno lo scopo di mostrare la quotidianità di una comunità alle porte della nostra città, in attesa di esserne parte totalmente, e di demitizzare i tanti stereotipi che circondano quella realtà. Presenti alla serata inaugurale Mauro Balordi, direttore della sede piacentina dell’Università Cattolica, Giuseppe Chiodaroli, presidente della Caritas Diocesana, il fotografo Sergio Ferri ed Elvis Ferrari, rappresentante della comunità Sinti.

“I media descrivono una realtà diametralmente opposta a quella effettivamente esistente – sottolinea quest’ultimo -, non siamo zingari, siamo italiani a tutti gli effetti. I sinti vogliono le stesse cose che vogliono i cittadini italiani, perché sono italiani: un lavoro, una casa. Non conviene a nessuno questa situazione. Siamo terremotati permanenti. Invitiamo tutti a visitarci”.

Sono circa 130 i sinti presenti al Campo Nomadi. Si tratta di una struttura circoscritta ben sorvegliata e recintata in cui sono stati installati servizi essenziali come acqua ed elettricità. “Mi ha stupito positivamente – racconta Ferri -, per certi versi è un mondo al contrario: ad esempio i cancelli del campo si chiudono dall’esterno. Ho cominciato a scattare circa un anno fa. Ho riscontrato qualche difficoltà iniziale non perché avessi trovato cattive persone, ma semplicemente esistono stigmi sociali che li etichettano come diversi. Non ho voluto informarmi inizialmente volutamente, proprio per avere meno pregiudizi possibili, per indagare al meglio la quotidianità”. Che racconta di bambini che vanno a scuola, (esiste anche un progetto di sostegno scolastico all’interno del campo, ndr) donne e uomini che lavorano. “E’ stato fatto molto – evidenzia Giuseppe Chiodaroli -, ma molto si può fare ancora. Quei volti raffigurati non sono diversi da quelli di chiunque altro. Purtroppo abitano in una posizione poco felice”.